Ci sono casi di storytelling nell’arte?
Qual è la situazione dei siti museali in Italia?
Può un progetto essere un’operazione di storytelling inconsapevole?
Il MAAM: un caso di successo
A queste e altre domande abbiamo risposto durante la puntata sullo storytelling nell’arte o meglio applicato al settore dell’arte. Una puntata in cui il protagonista è stato il MAAM, il Museo dell’Altro e dell’Altrove.
Prima di entrare nel vivo dell’argomento volevo suggerirvi di sentire la puntata perché al suo termine saprete qual è stato il ROI del progetto in analisi.
I dati del MIBACT per il 2016
Il 2016 è stato un anno da record per i musei italiani: 44,5 milioni di ingressi nei luoghi della cultura statali che hanno portato incassi per oltre 172 milioni di euro, con un incremento rispettivamente del 4% e del 12% rispetto al 2015. Sul podio troviamo il Colosseo, il Foro Romano e Palatino, gli Scavi di Pompei, la Galleria degli Uffizi e La galleria dell’Accademia di Firenze. Qui tutti i dati.
Il MIBACT però non sembra affidarsi ancora allo storytelling per la sua promozione.
Un caso di Storytelling nell’arte
Nella periferia romana di Tor Sapienza esiste un museo senza uguali, un museo all’interno di uno spazio occupato, un luogo nato dai ruderi di una ex fabbrica di salumi. Il suo nome è MAAM ed è l’eroe del nostro racconto. Questa narrazione potrebbe tranquillamente iniziare con il “c’era una volta delle favole” in cui però l’eroe non è una persona, ma un luogo. Uno spazio che ha avuto al suo fianco un aiutante d’eccezione di nome Giorgio De Finis. La storia del MAAM è quella di un’astronave con cui portare sulla luna un progetto utopico.
La storia del MAAM
C’era una volta una vecchia fabbrica di salumi abbandonata nella periferia romana di Tor Sapienza il cui destino doveva essere diverso da quello di uno sgretolarsi a poco poco. Nel 2009 la fabbrica viene occupata da un gruppo disomogeneo di persone. Non è la classica occupazione per gruppi etnici, ma sono peruviani, italiani, rom, africani. Tutti accomunati tra loro dal vivere ai margini della società senza un tetto sotto cui stare. Arrivano nell’ex fabbrica per ritrovare dignità e cercano di darla anche a quello spazio immenso. Essi diventano in qualche modo i primi aiutanti del futuro MAAM, la loro necessità le sue prime armi. La storia dell’ex fabbrica abbandonata e dei suoi abitanti ha una svolta con l’arrivo di quello che sarà l’aiutante principale del nostro eroe: Giorgio De Finis. De Finis è un antropologo, un curatore d’arte, un filmaker. Si imbatte in questo spazio la prima volta nel 2009 e realizza, insieme a Fabrizio Boni, il documentario “Space Metropoliz”. Metropoliz infatti è il nome della città etica che si era oramai andata costituendo all’interno della fabbrica.
Dove sta l’impresa del MAAM
Nel 2012 De Finis inizia il progetto MAAM, il Museo dell’Altro e dell’Altrove. Il MAAM ha due obiettivi: competere con i grandi musei d’arte contemporanea della capitale, il MAXI e il MACRO, e non far sfrattare gli abitanti. Il primo a lasciare una testimonianza sui muri del MAAM è Gian Maria Tosatti. Nasce così un museo in uno spazio occupato. Non è semplice all’inizio attrarre artisti e far capire agli abitanti della fabbrica che quella coabitazione con l’arte gli avrebbe potuti salvare. Inoltre ci sono l’amministrazione e i proprietari dello stabile che vorrebbero sfrattare gli occupanti.
Gli oggetti di potere
Grazie ai poteri del MAAM sempre più artisti vogliono lasciare il proprio contributo nel museo, il MAAM diviene sempre più una realtà e un punto di riferimento per gli abitanti di Tor Sapienza. Sempre più persone accorrono a visitarlo.
Giorgio De Finis riesce a far comprendere agli abitanti, non sempre felici del passaggio di persone estranee, che le numerose opere del MAAM potevano essere per loro una barricata, una protezione dallo sfratto. Un conto è bonificare un’ex fabbrica, un altro è distruggere un museo tra le cui mura spiccano opere di grande valore.
Per comprendere come il MAMM sia riuscito a fare ciò è necessario fare un passo indietro, fino all’epilogo.
Epilogo: perché l’eroe è il MAAM, lo spazio
Quando ancora l’ex fabbrica non era un museo aveva compiuto un viaggio nello spazio su di una navicella. Questo viaggio lo aveva reso un eroe con grandi poteri, quelli stessi poteri che gli avevano permesso di diventare da ex fabbrica abbandonata, una città etica (Metropoliz) fino ad essere il MAAM. Il più importante potere con cui era tornato, è stato quello di riuecire ad attrarre un valido aiutante e di diventare luogo attrattivo per gli artisti.
Approcci teorici utilizzati nell’analisi
Schema narrativo canonico di Andrea Fontana.
Protagonista = MAAM. Per che cosa lotta = per affermarsi come museo in contrapposizione al MACRO e al MAXXI; per impedire lo sfratto degli abitanti. Le sue imprese = attrarre artisti e pubblico; far comprendere agli occupanti che la coabitazione con l’arte è la loro arma. Traumi = non essere compreso.
Aiutanti = Giorgio De Finis; gli abitanti dello spazio. Oggetti di potere = le opere d’arte; la voglia di dignità degli occupanti.
L’eroe di Campbell
“Un eroe si avventura dal mondo di tutti i giorni in una regione di meraviglia sovrannaturale: lì incontra forze favolose e ottiene una vittoria decisiva. L’eroe ritorna da questa misteriosa avventura con il potere di conferire doni favolosi agli altri uomini.”
Testo: “L’eroe dai mille volti” di Joseph Cambell
Perché il MAAM è un caso di Storytelling nell’arte
Il MAAM è in sé una narrazione. Quando vi si entra si comprende come lo spazio sia parte integrante dell’esperienza. Le storie rappresentate nei muri vivono perché inserite un quel contesto con cui costantemente dialogano. Il visitatore entrandovi rende possibile la storia e la stessa esistenza del MAAM. È un museo che vive attivamente e non passivamente la sua esistenza.
Storytelling nell’arte: il ROI
Per questo punto vi rimando alla puntata del podcast “Storytelling nell’arte”.